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HAIKU autunno
giovedì 20 dicembre 2001
il mendicante

Un mendicante con i pantaloni e la maglia sdruciti, ma con tutta la dignità di uomo, quasi elegante nel suo genere, ma pur sempre un mendicante, mi guarda...
Ha in mano la sua vaschetta di plastica per ricevere l’elemosina e non parla, non ha nulla da mendicare, il suo sguardo è esplicito dice tutto e commuove. Il suo sguardo affascina, è uno strumento di commozione che attira anche il passante più distratto e lo invita a rivisitare quel sentimento a volte dimenticato, spesso allontanato dalla coscienza, la pietà... e un pò a liberarsi la coscienza nel gesto di far cadere qualche monetina scrosciante nella misera vaschetta.
Il mendicante mi rimanda immediatamente alla parabola del Vangelo di Luca.
Nessuno, penso voglia sentirsi come il mendicante, Lazzaro in attesa delle briciole che cadevano dai resti del pranzo del ricco Epulone (http://it.wikipedia.org/wiki/Lazzaro_e_il_ricco_Epulone). Credo parimenti che nessuno voglia neanche pensare di vivere nella miseria dell’Inferno come scrive il Vangelo che come contrappasso costrinse Epulone alla miseria, se non altro la miseria dell’anima, elevando invece Lazzaro al cospetto di Abramo in Paradiso.
Ora al di là del Vangelo cosa spinge a rispondere donando ad un uomo che non si conosce, soprattutto nel momento del Natale? Cosa spinge a volte a reagire negativamente, di fronte a chi senza neanche chiedere a voce fa un segnale inequivocabile di contatto.
Mi penso per un momento in quei panni, nei panni del povero. Magari in un paese lontano, al freddo, e per qualunque ragione senza documenti, denaro e soprattutto.. senza il cellulare. Ovvero quasi senza ogni possibilità di ritornare al mondo reale. Mi sentirei perduto.. abbandonato!… soprattutto mi sentirei mancare delle confortanti certezze del mio mondo.
Dopo essermi ripreso dallo choc prima di tutto chiederei del pane, l’alimento per la vita, chiederei dell’acqua, chiedere del calore e forse un tetto dove poter passare la notte. Sono tutti bisogni primari, probabilmente veicolati dal mio “altro”, cioè farei affidamento alla bontà altrui, visto che a me non rimane nulla.
Eppure spesso sul sofà del mio studio vedo sedute persone che chiedono molto e non sanno riconoscere il reale bisogno che le muove a chiedere. Si muovono e chiedono, e spesso nel loro silenzio si richiudono senza risposte. Senza un dono tra le mani (una monetina signore…) che serva loro a curare la sofferenza.
Ecco quel mendicante stava chiedendo qualcosa del genere facendo ricorso alla mimica facciale, perché ormai le parole non servivano più a raccontare la sua dolorosa storia.
A volte mi chiedo quale sia la vera povertà… non ho ancora risposte… visto che ogni tanto reagisco male anch’io a chi mi chiede qualcosa “per forza”.
martedì 10 luglio 2001
il bacio che avvelena

Dal racconto di Ivano (25 anni)
Ieri ho avuto paura.
Perché un contatto, un bacio può fare tanta paura?
Ho avuto paura di contagiare, con un bacio, con un atto d’amore chi non sa della mia sieropositività.
Conosco Michele da un mese, abbiamo avuto qualche approccio banale, una birra, 4 giochetti erotici tanto per pomiciare, in un locale qualunque… e tante volte lui avrebbe voluto andare oltre...
il desiderio è forte e fa a botte con il mio senso di colpa, perché chi mi si avvicina per il piacere non sa che posso contagiare. A tratti mi sento un criminale, a tratti un uomo ingiustamente condannato.
Vedi, come ritorna il giudizio! Fare male a qualcuno, ancora.. ho già avvelenato il mio compagno, che non credo mi abbia perdonato, ma non sapevo! Il male mi è stato diagnosticato solo 2 anni dopo l'inizio della nostra relazione. E mi sembrava di aver raggiunto finalmente lo scopo della mia vita: Amare profondamente un solo uomo. Ma non sapevo di portare con me il male... e questo ha avvelenato tutto, consumando giorno dopo giorno il rapporto. Sono giovane, bello e malato. Ma questo è dentro e non mi impedisce di amare o meglio di giocare all'amore. Perché non credo più a quel sogno ...
Posso continuare a giocare con la mia seduzione e non sentirmi malato, contagioso, diverso?
Una volta era un problema la mia omosessualità e tale diversità che oggi è la mia normalità... una volta mi faceva sentire sporco, e da ragazzino avevo il timore di sporcare qualunque cosa toccassi con la mia sessualità. Non tolleravo gli scimmiottamenti da checche in televisione perché mi procuravano un senso di turbamento e non avevo neanche il coraggio di rivelare agli amici più intimi il nome del mio primo segreto amore, che chiamavo Luna.
Sì, mi ero innamorato di Luna, della Luna, che dopo un anno mi ha girato le spalle e si è nascosta nella sua ombra, infelice... ma avevo solo 16 anni e lui non poteva capire. Ma ero giovane, bello e sano.
Ivano parla di questa esperienza come della prima esperienza d'amore
Dopo di lui mille e più amanti occasionali…
Ho sempre invidiato chi ha avuto la fortuna di avere come primo amore un amore felice…
Contagiare con un bacio, contagiare con il contatto di quello che è il più “primitivo” dei nostri organi di senso… le labbra che succhiano il seno materno e nutrono attraverso esse un corpo altrimenti fragile, inetto, esposto alla morte.
Sentirsi giudicato come un ladro, un assassino solo perché si è giocato all'amore, e patire l'illusione d'amore. Un amore che raramente nasce nelle backrooms di locali bui e tristi. Dall’altra parte un corollario di colori e facce “allegre”, corpi scolpiti e seducenti. Feste, gaiezza e sessualità esplicita.
Dietro l'amore, spesso il desiderio di amore… espressione adolescenziale che si manifesta in comportamenti “o tutto o nulla” che finiscono con un grande vuoto, come nel film Shortbus, dove la tendenza all'annullamento, il cupio dissolvi delle personalità più fragili è presente fin dalle prime "battute" del film...
Eppure malgrado le statistiche che dicono che la maggior parte dei rapporti omosessuali si spegne nel corso del primo anno, esistono coppie che trascorrono (a volte dietro modelli tipicamente eterosessuali) anni di convivenza insieme… tra mille difficoltà, gioie, passioni e il dolore a volte di perdere il/la compagno/a… perché la morte colpisce tutti.
E’ proprio di fronte al dolore, che spesso si chiude il gioco del tutto o nulla e qualcuno decide di vivere insieme un progetto, un destino comune.