giovedì 25 gennaio 2001

il giudizio e il suo rifiuto (3a parte)


Ancora il vuoto e l’incapacità di ascoltare. Molte immagini intorno, persone, presenze che non ho saputo contattare.

C’è un’emozione, un vissuto dietro ognuno, un tentativo di comunicazione, di mostrarsi, vorrei avvicinarmi, ma sento a volte di poter invadere incontrovertibilmente un confine, anche solo con le parole.

Mi chiedo: “sono almeno in grado di ascoltare?” 

Ascolta e osserva, ascolta e osserva, sì ma la tendenza più forte a volte è quella di vuotare il sacco... e la narcisistica aspettativa di essere confermato.. “Sì, hai ragione!!!”

Ma quando arriva il NO...?!

Bene, quel NO mi toglie un pò di me, un pezzo del mio investimento, una parte del mio sangue, una parte d’ossigeno...

Come in una lotta impari tra conferma ( amore incondizionato) e disconferma (rifiuto e abbandono), sento l’”edificio dell’Io” perdere qualche pezzo e la paura di un crollo imminente.

Una pietra scagliata contro l’edificio del mio “Io” diventa una consapevolezza dolorosa della mia fragilità. Non è detto che l’edificio cada in frantumi, ci sono basi e anche solide, ma un antico retaggio di abbandono, uno scricchiolìo minaccioso riaccendono l’allarme.

Il contatto del resto è una parte sensibile della comunicazione e se mi fossi sbagliato? se invece di una pietra in fondo si trattasse di una “chiave”... ?

mercoledì 17 gennaio 2001

il giudizio e il suo rifiuto (2a parte)


Lasciarsi giudicare e comunque includere in una categoria è un’esperienza inquietante, a volte mi fa pensare al racconto di mio zio che attraversò per mesi l’oceano prima di arrivare in terra d’America, la terra dell’oro, la terra promessa... per poi sentirsi giudicato sporco, ignorante, cattivo, italiano, e poi ancora mafioso, delinquente. 

A volte penso al momento del giudizio finale, il giudizio Universale, in Technicolor... quando Dio mi dirà davanti a tutto il Creato... “adesso inginocchiati e ascolta il mio giudizio!”

“Narcisista!, tu sei un narcisista anche un pò istrionico e dunque dovrai espiare le tue colpe” e un pò guardando le mie reazioni, un pò leggendo gli appunti dirà:” Sarai rinchiuso per secoli in una casa bellissima con infinite stanze tutte molto luminose e piene di specchi..” Vedrai così tutte le tue facce e le tue emozioni dipinte sulle pareti della tua esistenza per sempre... la rabbia, la paura, la tristezza, il riso, la noia.” 

giovedì 11 gennaio 2001

il giudizio e il suo rifiuto



Dare un giudizio ha voluto dire trovare un rifiuto.

Alla fine di ogni corso, di formazione (per formare le menti?), sono “invitato” a fare una verifica e a questa corrisponde spesso una noiosa attitudine, dare un giudizio o ancora peggio esprimere questo giudizio attraverso il voto.

Ricordo da ragazzino che la mia professoressa di Filosofia, alla fine del 2°quadrimestre dopo avermi concesso un bel 7 e mezzo, stupita mi disse:“io ti ho sempre pensato un tipo da 6”.

La mia allieva di fronte ad un “appena sufficiente” commenta :”Io non me lo merito!”

Quante volte io ho risposto così o meglio, ho avuto almeno il coraggio di rispondere: Questo giudizio non lo merito!

Ho sempre accettato il giudizio degli altri, e soprattutto è stato sempre un giudizio obiettivo?

Quello che so oggi è che il giudizio risulta essere un’etichetta, dietro la quale è difficile ritrovare la ragione del fare e dell’essere. 

Non posso tornare indietro! e per questo un giudizio espresso sulla base di un calcolo più o meno matematico e non certo sul grado di simpatia e antipatia mi fa riflettere sul ruolo incorruttibile del “giudice”. Ovvero colui che detiene o ha detenuto il potere di giudicare. 

Per me quel giudice ha una forma: si tratta di un archetipo ben presente nella mia mente, duro, robusto e autoritario, dalla pelle chiara e dalla voce imponente. Ma che in fondo presenta tutte le fragilità del maestro che punisce senza ascoltare. Che giudica senza conoscere l’oggetto / soggetto del giudizio.